I compensi professionali applicati dal nostro studio, possono variare a seconda della complessità e dello studio particolare. In ques’ultimo caso il costo può essere aumentato il tutto entro i parametri stabiliti dalla vigente normativa. A titolo esemplificativo, un parere su un argomento non particolare complesso, il costo ammonta ad €150,00 oltre accessori di legge.
Per tutelarti al meglio e darti i primi consigli utili, l’avvocato, in occasione del primo incontro conoscitivo, necessiterà di tutta la documentazione in tuo possesso relativa alla tua problematica; a completamento di questa prima fase cognitiva/istruttoria, l’avvocato potrà eventualmente formulare richiesta di accesso agli atti a tuo nome presso enti, uffici pubblici/privati e Autorità Giurisdizionali.
Sì, è sempre possibile. Il cliente non è vincolato a restare con il medesimo difensore per tutta la durata del giudizio. La legge prevede che sia il cliente che l’avvocato possano interrompere il rapporto in essere, in qualsiasi momento. Quando è il cliente ad interrompere il rapporto, si parla, in termini tecnici, di “revoca del mandato”; quando è invece l’avvocato ad interrompere il suddetto rapporti, si parla invece di “rinuncia al mandato”.
Per una prima analisi della questione, non è obbligatoria la presenza fisica del cliente in Studio. Successivamente sarà necessario un incontro al fine di sottoscrivere il mandato difensivo idoneo a rappresentarti sia nella fase stragiudiziale (presso enti, uffici pubblici/privati) che giudiziale.
In tutti i casi in cui un cittadino/debitore ritenga di aver ricevuto ingiustamente un’ingiunzione di pagamento, potrà fare valere le proprie ragioni davanti al Giudice competente (la competenza al medesimo Tribunale del Giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo). E’ importante tuttavia agire in tempo, in quanto il decreto non opposto nei termini (normalmente 40 giorni, ma può essere abbreviato in alcuni casi), passa in giudicato e non sarà più possibile, una volta decorso il termine, entrare nel merito della vicenda e modificare la pretesa.
L’istituto della mediazione costituisce un procedimento attraverso il quale due o più parti in contrasto tra loro raggiungono un accordo “amichevole” con l’aiuto di un mediatore terzo e imparziale.
La legge istitutrice della mediazione è rappresentata dal D.Lgs. 04/03/2010 n. 28).Oggi, le controversie in suddette materie costituiscono nei tribunali una considerevole percentuale delle cause civili che vengono iscritte a ruolo.Le materie, oggetto di mediazione obbligatoria, sono elencate nell’art. 5, comma 1 d.lgs. 28/2010 (condominio, diritti reali, patti di famiglia, divisione, successioni ereditarie, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari).
Il “filtro” obbligatorio della mediazione imposto dal legislatore già a distanza di svariati anni dall’entrata in vigore del D.Lgs 28/2010, successivamente modificato dal decreto legge 69/2013, c.d. Decreto del Fare e ss..mm., permette di raggiungere quello scopo deflattivo della giustizia consentendo di addivenire ad un accordo nei tempi stabiliti, pari a 3 mesi dal deposito della domanda di mediazione.
Le parti hanno pertanto l’obbligo di partecipare personalmente al procedimento di mediazione assistiti da un proprio difensore di fiducia (lo ha ribadito tra gli altri anche il Tribunale di Vasto con la sentenza del 17.12.2018). L’assenza ingiustificata della parte costituisce infatti un comportamento assunto in violazione di un preciso obbligo di legge e ciò espone chi decide di non partecipare personalmente al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie economiche e processuali previste dall’art. 8 c. 4 bis del D.Lgs n. 28/2010.
La separazione consensuale, sancita dagli articoli 158 c.c. e 711 c.p.c., è una procedura di volontaria giurisdizione suddivisa in due fasi: l’udienza presidenziale (innanzi al Presidente del Tribunale competente) e la successiva omologazione dell’accordo raggiunto da parte del Collegio che pronuncerà il relativo decreto. L’accordo contiene in linea di massima tutte le condizioni che regolano i rapporti personali e patrimoniali di entrambi, e i rapporti di ciascuno con i figli.
All’udienza innanzi al Giudice, le parti hanno l’obbligo di comparire personalmente; in caso di impossibilità a comparire da parte di uno dei coniugi il Giudice fisserà una nuova udienza. La comparizione personale dei coniugi è fondamentale in questa fase in quanto il Giudice effettuerà il tentativo conciliazione e in caso di esito negativo, prenderà atto dell’accordo redatto dalle parti. Il decreto di omologa verrà emesso nei giorni immediatamente successivi all’udienza presidenziale e comunicato alle parti, in rispettivi dei rispettivi procuratori.
Nel caso in cui i coniugi non riescano a trovare un accordo, la separazione che ne conseguirà è di tipo giudiziale e potrà essere richiesta per intollerabilità della prosecuzione della convivenza o, in presenza di figli, per grave pregiudizio per l’educazione di quest’ultimi.
Per quanto riguarda il criterio di intollerabilità della convivenza, per l’ordinamento giuridico italiano, è irrilevante la colpa dei coniugi; cosa diversa è invece la condotta tenuta dai coniugi stessi poiché potrà essere valutata dal Giudice ai fini del c.d. addebito della separazione.
La domanda di separazione giudiziale si propone con ricorso innanzi al Tribunale dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero nel luogo di residenza del convenuto.
Sì, è sempre possibile, in quanto, in molti casi, la decisione di porre fine ad un matrimonio viene assunta da un solo coniuge, e anche chi ha causato l’intollerabilità della convivenza ha diritto a chiedere la pronuncia di separazione.
Il codice civile prevede che all’art. 548 che “il coniuge cui non è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato, ai sensi del 2 comma dell’art. 151, ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato…”. Pertanto, quando si è separati, si è ancora marito e moglie e si è eredi l’uno dell’altro.
Solamente con il divorzio cessa il rapporto di coniugio che è il presupposto per godere dei diritti successori nei confronti del coniuge. Tuttavia la legge prevede che, in caso in cui il “divorziato” abbia avuto diritto ad un assegno divorzile quando il coniuge era ancora in vita, avrà diritto di richiedere un assegno successorio da porsi a carico dell’asse ereditario.
Con la legge n. 55/2015 è stato ridotto il lasso di tempo che deve intercorrere dalla data di comparizione personale nell’ambito della procedura di separazione. Ad oggi il termine per poter richiedere il divorzio è di soli 6 mesi (e pertanto la denominazione “breve”) nel caso di separazione consensuale e di 1 anno nel caso di separazione giudiziale decorrenti dalla data di udienza presidenziale di comparizione dei coniugi.
Già dall’entrata in vigore della legge 162/2014 era possibile richiedere lo scioglimento del vincolo matrimoniale attraverso la negoziazione assistita o mediante una doppia dichiarazione delle parti innanzi all’Ufficiale di stato civile.
In caso di una separazione legale o scioglimento del vincolo del matrimonio, lo studio legale ti aiuterà ad organizzare tutte le questioni finanziarie e familiari, generalmente in trattativa con l’avvocato del coniuge di controparte.
Alimenti, custodia e mantenimento dei figli e una equa divisione dei beni in comunione (chi, ad esempio, continuerà a detenere il godimento della casa coniugale o il modo in cui i tuoi conti correnti e di risparmio saranno suddivisi) sono argomenti che gli avvocati sono pronti ad affrontare e ti consiglieranno la migliore soluzione possibile adatta al tuo specifico caso.
La situazione di cui al quesito è tecnicamente inquadrabile nell’istituto della diseredazione ed ovvero quella volontà testamentaria del de cuius che esplicitamente escluda un determinato soggetto dalla propria successione.
In termini generali si può dire che un genitore, con il proprio testamento, non possa decidere di “lasciare tutto” a un unico figlio, se si è in presenza di un altro legittimario di pari grado. La legge prevede che ci siano dei parenti, cosiddetti “legittimari”, quali i figli, che non possono essere esclusi dall’eredità, con il testamento.
Pertanto, se un genitore dovesse disporre con il testamento che tutti i beni vadano in favore di un unico figlio, escludendo l’altro, quest’ultimo avrà il diritto di rivendicare la sua quota di eredità: la cosiddetta “quota di legittima”. Tuttavia la giurisprudenza e la dottrina giuridica dibattono costantemente circa l’ammissibilità di tale clausola.
In ogni caso sia dottrina che giurisprudenza sono concordi sulla circostanza che non si possa diseredare direttamente il proprio figlio. Se ciò si fosse verificato, l’erede legittimo pretermesso dal patrimonio ereditario avrà la possibilità di agire in giudizio per far valere le proprie ragioni, con il proprio avvocato che predisporrà la c.d. azione di riduzione innanzi al Tribunale competente.
Il procedimento per ottenere la liberazione forzata di un immobile si compone di alcune fasi obbligatorie disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali. Quando l’inquilino non rilascia l’immobile al proprietario in via bonaria, anche dopo il nostro intervento stragiudiziale con l’invio di lettere monitorie e solleciti, è necessario ricorrere al Giudice presso il Tribunale competente, in questo caso Bologna.
La procedura si articola in due fasi, una innanzi al Tribunale al fine convalidare lo sfratto, e una successiva con l’intervento degli Ufficiali Giudiziari (che nei casi “più difficili” opereranno con l’intervento della forza pubblica). Per quanto riguarda la tempistica per il rilascio dell’immobile, la stessa dipenderà da alcune circostanze in essere nella locazione (presenza di minori, eventuali altri precedenti sfratti etc.). Dall’esperienza dello Studio, possiamo affermare che la media presso il Tribunale bolognese, va dai 9 ai 12 mesi.
Il c.d. “Codice del Consumo” (D.Lgs. 206/2005) all’art. 51, 1° comma, prevede che le informazioni fornite al consumatore dal professionista debbano essere presentate al destinatario su un supporto durevole e devono anche essere ben leggibili. Pertanto tutti i contratti a distanza (tra cui quelli conclusi telefonicamente) non potranno perfezionarsi unicamente attraverso un contatto telefonico ma, il contenuto dell’accordo stesso dovrà essere altresì inviato al consumatore il quale potrà accettarne il contenuto apponendo la propria sottoscrizione al modulo/formulario.
In mancanza di tale ultimo adempimento, l’accettazione telefonica al contratto proposto, seppur registrata, non avrà alcuna efficacia vincolante per il consumatore, ciò anche poiché tale condotta del professionista determina un chiaro squilibrio di informazioni a scapito del contraente debole.
A norma del Codice del Consumo (art. 130 D.Lgs. 206/2005) il venditore è responsabile per qualsiasi difetto di conformità del bene al momento della consegna del bene al consumatore. Tale responsabilità permane in capo al venditore per due anni, termine decorrente dalla consegna del bene.
In altri termini la legge fornisce un’ampia garanzia al consumatore, il quale potrà, a sua insindacabile scelta, valutare di chiedere la venditore la riparazione del bene, la sua sostituzione o la risoluzione del contratto con restituzione di quanto corrisposto.
Spesso, quando si acquista un prodotto o un servizio ci si imbatte nella sottoscrizione di modulistica contrattuale che il più delle volte non si legge con particolare attenzione. Può accadere che questi contratti violino i diritti dei consumatori imponendo a loro carico oneri particolari non giustificati o che squilibrino il rapporto contrattuale a scapito del contraente più debole (c.d. Clausole vessatorie).
Nelle rappresentate ipotesi il legislatore ha posto rimedio con la Legge specifica le cui disposizioni in materia sono oggi contenute nel “Codice del Consumo” (D.Lgs. 206/2005), il quale prevede gli obblighi posti a carico del professionista al fine di proporre contratti trasparenti al consumatore in modo tale che quest’ultimo presti un consenso consapevole.
Il diritto del consumatore indica pertanto un insieme di norme che il legislatore ha posto a tutela dei consumatori, ovvero coloro che agiscono nella fase di acquisto di prodotti e/o servizi, per scopi estranei dalla propria attività imprenditoriale, commerciale o professionale.
In caso di ripensamento, è comunque sempre possibile esercitare il diritto di recesso nei termini indicati dalla legge; a tal fine è buona norma conservare sempre una copia di quello che si sottoscrive così da poter sollevare le proprie eccezioni correttamente.