I criteri per il calcolo dell’assegno di divorzio
La Corte di Cassazione stabilisce i nuovi criteri per il calcolo dell’assegno di divorzio: è davvero la fine di un’epoca?
La strada è stata aperta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 18287/2018, ha stabilito i principi sulla base dei quali il Giudice di merito deve determinare l’assegno di divorzile in favore del coniuge meno abbiente. Ma che cosa ha detto la Corte esattamente?
Il principio secondo le Sezioni Unite è chiaro:
“Ai fini del riconoscimento dell’assegno si deve adottare un criterio composito che, alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto. Il parametro così indicato si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo. Il contributo fornito alla conduzione della vita familiare costituisce il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, libere e responsabili, che possono incidere anche profondamente sul profilo economico patrimoniale di ciascuno di essi dopo la fine dell’unione matrimoniale”.
Secondo le Sezioni Unite, con la sentenza 18287/2018 il Giudice quindi:
- Procede, anche a mezzo dell’esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti;
- Qualora ne risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall’art. 5, 6° comma, prima parte, n. 898/70, e in particolare se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso e alla durata del matrimonio;
- Quantifica l’assegno senza rapportarlo né al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato.
Sinteticamente, un coniuge per vedersi riconosciuto il diritto all’assegno di divorzio dovrà ora dimostrare:
- Di non avere i mezzi per il proprio sostentamento;
- Che le ragioni di tale mancanza sono di natura oggettiva;
- Di aver contribuito sostanzialmente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune (e personale di ciascun coniuge);
Ciò viene rapportato dal Giudice alla durata del matrimonio, all’età del coniuge richiedente l’assegno e alle difficoltà (o meno) di quest’ultimo ad inserirsi nel mondo del lavoro.,
Al fine di evitare situazioni parassitarie si introduce, insomma, un principio di autoresponsabilità che, dopo il divorzio, dovrà governare la vita degli ex coniugi, insieme al dovere di solidarietà post-coniugale, che costituisce il fondamento dell’assegno di divorzio.
Del medesimo avviso anche la recente sentenza della Cassazione Civile Sezione I, n. 12021 del 07.05.2019 che, nell’applicare i principi sopra riportati delle Sezioni Unite ha dichiarato inammissibile un ricorso proposto da una ex coniuge che impugnava la decisione della Corte d’Appello che revocava l’assegno di mantenimento in suo favore (pari ad € 250,00 mensili), stabilito dal Tribunale di Primo Grado.
La Corte con questa nuova pronuncia ha preso in considerazione l’assenza di prole, la breve durata della vita in comune e la non incidenza di essa sulla formazione del patrimonio delle parti rilevando che, in ordine a tali aspetti, non erano stati sostanzialmente spiegati motivi di impugnazione, essendosi la ricorrente soffermata unicamente sulla disparità reddituale (lui guadagnava € 39.000,00 lordi, lei € 18.000,00). In relazione al criterio risarcitorio infine, la sentenza di legittimità affermava che le ragioni poste a sostegno di esso erano meramente assertive e sfornite di prova e pertanto nessun presupposto risarcitorio è stato ritenuto sufficiente.
Leggi qui la sentenza Corte di Cassazione n.12021 del 07.05.2019 e la sentenza Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 18287/2018.